Fondo Giulio Augusto Levi

Fondo Giulio Augusto Levi

Giulio Augusto Levi

(Torino, 1879 – Gallarate, 1951)

La biblioteca

Il Fondo Levi si compone di circa 3.000 volumi provenienti dalla biblioteca dello studioso, depositati e quindi donati alla Fondazione Sapegno dai nipoti Giorgina e Paolo Momigliano Levi. hanno depositato presso la Fondazione, in comodato gratuito, gran parte della biblioteca appartenuta a Giulio Augusto Levi, successivamente incrementata dalle due figlie Sara ed Eugenia, comprendente circa 3.000 

Si tratta di testi che documentano gli studi letterari e religiosi del critico. In particolare, il fondo presenta un consistente gruppo di pubblicazioni leopardiane, che riflettono l’ampio lavoro critico condotto dallo studioso, sin dai primi anni del Novecento, sul Recanatese; fra di esse si segnala la prima edizione, curata dell’editore Stella, della Crestomazia italiana (1827). Numerosi sono anche i saggi sul Petrarca e sul Manzoni, autori di cui Levi possedeva, come per il Leopardi, diverse edizioni critiche, e, più in generale, i volumi di letteratura italiana, greca e latina e di diverse letterature europee in lingua originale. 

Il Fondo Levi include inoltre svariati periodici di natura filosofico-letteraria, fra i quali si segnala la prima annata completa de «La Biblioteca Italiana», con i fascicoli comprendenti il celebre testo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni di Madame de Staël (fasc. 1) e la risposta di Leopardi (fasc. 4).

Una cospicua collezione di testi filosofici è tuttora in possesso degli eredi, che hanno conservato anche le pubblicazioni di Giulio Augusto Levi.

Si segnala infine un piccolo nucleo di 172 libri antichi, descritti nella pubblicazione, a cura della Fondazione, Sebbene speri di non diventar mai un bibliofilo. I libri antichi di Natalino Sapegno e Giulio Augusto Levi, Torino, Nino Aragno Editore, 2001.

L'archivio

Insieme con la biblioteca, gli eredi di Giulio Augusto Levi hanno donato alla Fondazione anche la parte dell’archivio relativa ai suoi studi letterari e in particolare contiene la corrispondenza di Levi (circa 100 lettere) con importanti studiosi della prima metà del Novecento (Francesco Moroncini, Ferdinando Neri, Gaetano De Sanctis) e con alcuni dei suoi ex-allievi; nonché un interessante gruppo di carte manoscritte attestanti l’elaborazione delle sue opere critiche più importanti ed alcune fotografie d’epoca che testimoniano le tappe della sua attività professionale.

La Soprintendenza archivistica ha valutato il complesso “di interesse storico particolarmente importante” perché esso costituisce “testimonianza della personalità e del percorso professionale di un docente e accademico, insigne studioso di italianistica, che ha attraversato una fase cruciale per la storia italiana. La carriera di Giulio Augusto Levi è stata infatti fortemente condizionata dalle leggi razziali del 1938, che hanno determinato l’allontanamento del professore da tutte le attività scolastiche ed accademiche; assai significativo, inoltre, il dialogo religioso che la sua esperienza personale attesta, ponte tra cristianesimo ed ebraismo, parabola di una profonda spiritualità che ha fortemente motivato i suoi interessi di ricerca”.

 

Il complesso archivistico e bibliografico Giulio Augusto Levi è stato sottoposto alla disciplina del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, con Decreto del Soprintendente archivistico e bibliografico del Piemonte e della Valle d’Aosta n. 2 del 17/01/2024.

Biografia

Nasce a Torino il 23 novembre 1879. È il sesto dei dieci figli dell’avvocato Giulio Giacomo Levi e di Diamantina Pugliese, entrambi ebrei, che impartiscono ai figli un’educazione fondata su una moralità laica e progressista, tesa a cogliere gli elementi di giustizia sociale necessari alla libertà ed alla dignità di ogni individuo. Solo i cinque figli maschi frequentano le scuole superiori e l’Università, segnalandosi nei diversi campi di studio per la precocità della loro formazione critica e per l’attitudine alla ricerca. Giulio Augusto è l’unico a scegliere una facoltà umanistica; gli altri si dividono fra le scienze matematiche e l’ingegneria.

Dopo aver conseguito la maturità classica al Liceo d’Azeglio di Torino, Levi beneficia di una borsa di studio del Collegio Carlo Alberto e si iscrive alla Facoltà di Lettere dove è allievo di Gaetano De Sanctis. Conseguiti, nel 1903, la laurea in lettere ed il diploma di magistero, segue i corsi di filosofia. A complemento degli studi segue un corso di lingua francese che lo abilita a quell’insegnamento.

Nel 1904 l’Accademia reale delle Scienze di Torino pubblica il testo della sua conferenza su Le battaglie di Cos e di Andro: inizia così un’intensa attività di studioso e saggista, che sarà compiutamente ricostruita in una pubblicazione dedicatagli dall’Università di Firenze. 

L’interesse per le lettere e per la filosofia lo accompagnerà nella sua vita di studioso, vicino a Oscar Ewald, di cui condivide il rifiuto del relativismo nietzchiano, di cui farà sua la massima: «Agisci come se ciascun istante avesse un valore eterno e tu abbracciassi tutto quanto il futuro nell’attimo presente». 

Dovendosi mantenere, ma anche per scelta convinta, Giulio Augusto Levi si dedica quindi all’insegnamento, che resterà sempre per lui, animato da una forte spiritualità che in età matura lo guiderà nella conversione alla fede cattolica, la condizione per eccellenza per far crescere e fiorire la persona nell’interezza del suo essere. Sarà quella spiritualità e quella continua ricerca interiore a portarlo a studiare con particolare interesse l’opera e la personalità di Giacomo Leopardi: nel 1911 pubblica per i tipi dell’editore Bocca di Torino la Storia del pensiero di Giacomo Leopardi, primo di una lunga serie di lavori sul Recanatese che Giulio Augusto Levi realizza avendo come punto di riferimento anche il mondo della scuola.

La carriera scolastica, iniziata in un Istituto tecnico di Bobbio Pellice, porta Levi a conoscere molte e molto diverse realtà regionali e sociali dell’Italia nella transizione dal liberalismo al fascismo, e da una economia prevalentemente agricola ad un sistema produttivo in cui comincia ad emergere la grande industria del primo Novecento: Susa, Ascoli Piceno Genova, Catania, Venezia, e infine Firenze, dove Levi si stabilisce definitivamente dopo il matrimonio.

L’attività di docente va di pari passo con quella dello studioso, che Giulio Augusto riversa non solo nelle accademie, ma anche nelle aule in cui insegna: tant’è che l’ispettore ministeriale che dovrà giudicare se egli abbia i requisiti per diventare professore di ruolo osserva acutamente nella relazione al Ministero che il suo patrimonio culturale è grandissimo e che egli lo spende generosamente fra i suoi allievi che solo in parte riescono ad apprezzarlo; tanto è esigente verso sé stesso, quanto è comprensivo e rispettoso nei confronti dei suoi allievi, che segue ben al di là degli obblighi scolastici. Certo è – e lo stanno a dimostrare tante lettere che riceve dai suoi allievi – che saranno moltissimi gli studenti che, nel tempo, gli diranno la loro devozione e la riconoscenza per l’attenzione da cui si sono sentiti sempre circondati. Ciò è frutto non solo della personalità e della passione per la cultura di Giulio Augusto Levi e della sua dedizione all’insegnamento, ma di quel travaglio religioso che lo porterà – ormai uomo adulto – alla conversione ed alla fedeltà al messaggio evangelico. Un travaglio reso acuto negli anni della Prima guerra mondiale dalla morte sul fronte di due dei suoi fratelli, andati volontari, rinunciando alla famiglia, nel caso del fratello Decio, sposato con due figli, ed alla carriera scientifica, nel caso del fratello Eugenio, già professore di matematica in età molto giovane presso l’Università di Genova.

Il travaglio del dolore per la perdita dei due fratelli si coniuga con la gioia del matrimonio: il 1914 è a Firenze docente alla scuola normale maschile: Giulio Augusto vive nella piccola pensione famigliare che la famiglia Lucignani – una famiglia della piccolissima nobiltà fiorentina – ha aperto di fronte a Palazzo Medici, nella centralissima via Cavour. Lì Giulio Augusto conosce Giuseppina Lucignani e trova finalmente quell’amore di una donna di cui sin lì ha sentito l’acuta mancanza.

Il rapporto con la moglie, che è una creatura affascinante dalla salute apparentemente fragile, sarà per tutta la vita fato d’intensa tenerezza, di continue premure e di confronto sul piano spirituale. Sposatisi nel 1916, a Venezia, dove in quel momento Giulio Augusto insegna, dieci anni dopo possono celebrare il matrimonio secondo il rito cattolico perché Giulio Augusto, il 29 dicembre di quell’anno, ha ricevuto il battesimo, dopo un lavorio religioso che dura ormai da vent’anni. Il suo è stato un itinerario di ricerca lungo se si pensa che già nel 1906, scrivendo alla sorella Aida, si era proclamato «sempre un po’ religioso nella sua miscredenza». Gli sposi scelgono una cerimonia privata, che ha luogo nella cappella dei duchi San Clemente.
Giulio Augusto e Giuseppina hanno ormai due figlie: Sara, nata nel 1917, ed Eugenia, nata due anni dopo, che porta quel nome a ricordo dello zio morto al fronte. Entrambe si laureeranno in Lettere anche se l’una discute una tesi di lingua latina con Giacomo Devoto, l’altra di storia della pittura, con Mario Salmi.

Il curriculum scientifico di Giulio Augusto Levi si è nel frattempo arricchito molto, non solo di studi leopardiani e di altri autori, ma anche sul tema dell’estetica e del comico. Sul primo argomento aveva fatto uscire nel 1924 per i tipi della Casa editrice Vallardi un manuale di estetica. Il suo interesse per la materia crebbe a tal punto ch’egli la riprese nella sua Storia del gusto e dell’estetica, pubblicata due anni più tardi. Le sue idee in materia erano lontanissime da quelle di Benedetto Croce, che godeva allora di un prestigio culturale altissimo e che non risparmiò la sue critiche a Levi, che le confutò. In questo confronto impari con un maestro quasi indiscusso a Levi premeva più di ogni altra cosa di rivendicare il diritto di avere concezioni proprie anche se esse erano lontane da quelle di un grande filosofo come Croce, circondato da consensi non sempre disinteressati.

Nel 1924 l’orizzonte dei suoi interessi letterari sempre più attenti alla poetica leopardiana – di cui s’era occupato quando nel 1922 aveva pubblicato i Canti di Leopardi – si allargano. Accettando la proposta che gli viene dalla casa editrice della «Voce», Levi avvia l’edizione critica de Il principe e la letteratura di Vittorio Alfieri e cura un’antologia di passi scelti del «Baretti».

Da questo primo accostamento all’opera dell’Alfieri, egli passerà subito dopo alla cura di sei volumi che raccolgono le opere dell’Alfieri. L’edizione critica del saggio alfieriano sul Principe e le lettere fu anche l’occasione per Levi non solo di interessarsi all’opera dello scrittore astigiano, ma agli scritti dello stesso Machiavelli, l’autore di cui si occupa nel saggio Machiavelli : discorso sulla prima deca di Tito Livio. Un saggio che, anni più tardi, entrerà nella collana dei Classici italiani scolastici, diretta da Attilio Momigliano

Il suo rilievo nel quadro culturale dell’epoca è tale, e soprattutto la sua ricerca interiore è così ricca sul piano della fede religiosa da indurre Carlo Calcaterra, nel 1931, a proporre a Piero Marrucchi, che accetta, di scriverne la biografia spirituale. La scelta di Piero Marrucchi, studioso cattolico di filosofia e persona dalla spiritualità profonda, non è casuale e tiene conto di quella sintonia religiosa che Marrucchi ha saputo alimentare in tanti anni di profonda amicizia con Levi, che l’aveva voluto testimone alle sue nozze.
Nel 1931 esce per i tipi di Principato il saggio su Giacomo Leopardi, a coronamento degli studi e delle ricerche sin lì condotti da Levi sul poeta a lui più affine. L’11 ed il 12 ottobre di quell’anno partecipa ad Arezzo alla “Settimana petrarchesca”, organizzata da Vittorio Cian, Carlo Calcaterra, Carlo Segré e Luigi Tonelli. Del poeta aretino continuerà a studiare l’opera nell’ambito delle iniziative promosse dal Centro nazionale di studi sul Rinascimento, istituito da Giovanni Papini. Frutto di questi studi sarà il saggio “Il Petrarca moralista e politico”.

L’anno successivo consegue la libera docenza in Letteratura italiana, ma non abbandona l’insegnamento nelle scuole superiori. In quello stesso anno consegna alla SEI il manoscritto dell’opera Boccaccio: scelta di novelle. Con quel moralismo che a lui è del tutto estraneo, i responsabili della casa editrice criticano la scelta che ha fatto fra le novelle del Boccaccio perché, se è vero – così essi giustificano i rilievi mossi a Levi – che si deve badare ad insegnare ai giovani a conoscere il mondo com’è, si deve badare soprattutto alla formazione degli alunni; in realtà ciò che preoccupa la SEI è il modo irriverente con cui il Boccaccio ha trattato gli uomini di Chiesa: critiche che confermano quanto il cattolicesimo di Levi non fosse codino e inutilmente moralista.

Nel 1935 consegna a La Nuova Italia i suoi Saggi critici e alla Libreria editrice di Napoli un volume sull’Eneide, destinato non solo agli studenti del liceo e delle magistrali, ma anche a quelli che frequentano gli istituti tecnici. 

Nel 1937 partecipa ad un concorso universitario per una cattedra di Lettere. La cattedra sarà vinta da Mario Fubini: Levi, che per merito potrebbe figurare nella seconda terna di candidati, viene escluso perché «non si volle un altro docente ebreo». Erano queste le avvisaglie delle leggi antiebraiche emanate l’anno dopo da Vittorio Emanuele III e da Mussolini. Come tutti i docenti ebrei anche Levi viene espulso da quella scuola a cui egli aveva dedicato tanta parte della sua vita di studioso. A lui come a tutti gli ebrei fu precluso qualsiasi lavoro che esulasse dalla cerchia strettissima delle Comunità israelitiche; particolarmente doloroso per lui fu il divieto di frequentare le biblioteche, le accademie e gli istituti di cultura. I testi scolastici di cui era stato autore, per quella stessa legge del 17 novembre 1938 non possono più essere adottati; anche i concorsi alle cattedre universitarie gli sono preclusi.

Di fronte a questa situazione, agli inizi del 1939, pensa, come il fratello Beppo, di emigrare in Sud America, ma la cattedra a cui potrebbe aspirare è stata nel frattempo assegnata ad Alberto Pincherle. Giulio Augusto, restato in Italia, potrà peraltro proseguire – in maniera certo del tutto episodica – la sua attività di scrittore e di critico letterario collaborando all’Osservatore Romano, alla rivista «Studium» e con altre testate, firmandosi Giulio Augusti

All’attività di critico letterario affianca ora quello di traduttore: per conto della casa editrice Morcelliana tradurrà in quegli anni bui l’opera di autori tedeschi: dallo Schmabel di Die religiose krafte allo Sellmair di Der Mensch in der Tragic, per non parlare del Priester in der Welt di Sellmair: saggi i cui titoli parlano da sé e dell’impegno religioso dei loro autori.

Nel corso dell’occupazione tedesca Levi dovrà nascondersi con la sua famiglia e troverà rifugio in un istituto di religiosi. La sua fama di studioso si diffonde, comunque, anche fra i giovani universitari romani aderenti alla FUCI che affidano ad uno di loro, Giulio Andreotti, l’incarico di invitarlo a scrivere su «Azione fucina».

Nel 1942 avviene, ma solo formalmente per effetto dell’esclusione degli ebrei dalle scuole e dalle università, il passaggio nel ruolo dei professori universitari. Levi continua perciò a lavorare nel campo della critica letteraria: nel 1946 affida al Commissario per la scuola del CLN di Firenze un articolo su Alfieri e Foscolo, destinato alla rivista «Humanitas», e prepara per la stampa un suo breve saggio su Leopardi cristiano; nello stesso anno cede alla casa editrice Marzorati i diritti sul volume Classicismo e neo classicismo, che entra a far parte della serie di “Problemi e orientamenti critici di lingua e letteratura italiana”, destinata agli studenti universitari e a chi deve affrontare il concorso a cattedre di scuola media inferiore e superiore. Nel 1947 esce l’antologia omerica da lui curata. 

In questo periodo assume un forte significato la sua iscrizione e la sua collaborazione alla “Amicizia ebraico-cristiana”, il movimento interconfessionale nato per saldare la tradizione ebraica e quella cristiana. In questa adesione attiva, Levi sente di dare, al di là della dimensione privata, uno sbocco all’esigenza di rompere quel pregiudizio contro i “perfidi giudei” che per tanti secoli ed ancora negli anni del regime aveva alimentato le persecuzioni antiebraiche e di sottolineare invece come gli ebrei fossero i fratelli maggiori dei cattolici.

Soltanto nel 1949 gli è assegnata la cattedra di Letteratura italiana nella Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze. La sua vita universitaria sarà tanto intensa quanto breve. Il 12 settembre del 1951 è a Gallarate, dove è intervenuto ad un Convegno. Dopo la colazione di lavoro, mentre passeggia nel vestibolo della sala delle conferenze, cade a terra stroncato da un infarto. Sarà quella la sua ultima lezione: una lunga comunicazione “à laquelle il avait mis tout son cœur”, come ricordò un professore dell’Università d’Algeri che tentò invano di prestargli soccorso.

Sul suo tavolo di lavoro, in via Bolognese a Firenze, aveva lasciato in evidenza la richiesta della Morcelliana di recensire il Diario di Kierkegaard ed un altro volume dello stesso autore, Preghiere: segno anche questo di un interesse che dalla letteratura ha sempre portato Levi alla meditazione religiosa ed alla riflessione filosofica, creando quel un circolo virtuoso che lo caratterizzò come persona e come studioso.

La biografia di G.A. Levi è stata redatta da suo nipote Paolo Momigliano Levi

Per approfondire:

Marrucchi, Giulio Augusto Levi, in «Convivium», 1931

G.A. Levi. Cenni biografici, a cura di Carmine Jannaco, 1956

Bibliografia

Bibliografia delle opere di G.A. Levi a cura di Eugenia Levi, 1956